giovedì 29 luglio 2010

Omeopatia unicista (di F. Candeloro - medico omeopata)


L’omeopatia ha sempre mostrato, fin dai tempi in cui era in vita il suo fondatore, C. F. S. Hahnemann, una notevole vivacità dialettica relativamente alla sua metodologia applicativa che, lo ricordiamo, si basa su quella legge di similitudine già intuita, agli albori della medicina, da Ippocrate. Questa vivacità, tuttavia, è frutto della pigrizia intellettuale di molti medici, abituati, fin dai loro studi universitari, a considerare la malattia localizzata unicamente ad un determinato organo o funzione, e così incapaci di ampliare il loro punto di vista, come invece sperimentalmente dedotto da Hahnemann attraverso la semplice comparazione di quadri naturali di malattia con quadri artificiali, indotti, cioè, dalla ripetuta somministrazione di sostanze della natura aventi un potere farmacologico, ossia la capacità, a differenti dosaggi, di incidere in senso patologico, o curativo, sulla fisiologia dell’ organismo umano.

Da questa difficoltà del medico a superare i propri limiti diagnostici, è nato in primo luogo quel ramo dell’omeopatia che va sotto il nome di pluralismo prescrittivo, in cui cioè ad un organismo malato vengono contemporaneamente somministrati diversi rimedi omeopatici, aventi azioni differenti e singolarmente dirette a specifici organi o funzioni. Ulteriore allontanamento dalla dottrina hahnemanniana è quello del complessismo omeopatico, in cui più rimedi, dalla supposta azione similare, vengono miscelati tra loro a formare una nuova sostanza, somministrata ancora, come nella più tradizionale medicina allopatica, sul nome della malattia piuttosto che sulle caratteristiche distintive della persona malata. Infine è proprio dei nostri tempi, l’introduzione di quel filone terapeutico, che chiamiamo medicina integrata, in cui rimedi omeopatici e allopatici di sintesi vengono prescritti simultaneamente.

In questa maniera del tutto individuale, dunque, di fare omeopatia, il paziente, che spesso ha scarsa conoscenza della materia, si trova a dover decidere a chi affidare le sue cure, e spesso, nel dubbio, preferisce seguire i consigli terapeutici del farmacista, scoraggiato proprio dalla pluralità di offerte, tanto differenti, che vanno tuttavia sotto lo stesso nome di omeopatia. Una risposta superficiale, che spesso si trova tra gli operatori del settore, è che i diversi approcci mostrano comunque tutti, a gradi differenti, una certa efficacia e un diverso gradimento dei pazienti, e questo ne giustificherebbe la loro persistenza sotto un'unica nomenclatura, sia pur in barba a quella purezza metodologica che è assicurata dal solo unicismo prescrittivo.

Entrando, a questo punto, nello specifico, è bene osservare che l’unicismo in omeopatia – termine con cui si vuole indicare la somministrazione, nel corso di qualsiasi stato patologico, di un solo rimedio omeopatico alla volta - è prima di tutto funzionale al rispetto della naturale complessità psicofisica della persona, che risponde a stimoli potenzialmente nocivi sempre e solo come fosse una cosa sola, e indivisibile, di mente e corpo. Stimoli dunque che hanno la capacità di perturbare l’armonia funzionale di questa complessità, determinano modificazioni della stessa che inizialmente possono anche sembrare localizzate, ma che, quando si perpetuano nel tempo - e approcci terapeutici allopatici ne contrastano le naturali difese dell’organismo - finiscono per estendere i loro effetti lesivi ad organi ed apparati sempre più importanti nel mantenimento dell’efficacia funzionale dell’intero organismo, che viene così progressivamente influenzato a tutti i livelli della sua complessità.

Questo non è il frutto di astratte teorizzazioni ma, come già detto, la verifica sperimentale della risposta dell’organismo a sostanze della natura in grado di farlo ammalare, sostanze che, quando somministrate ripetutamente, e a dosaggi ridotti, provocano nell’uomo un quadro tossicologico che, come osservava lo stesso Hahnemann, accanto a perturbazioni organiche, si accompagna anche a modificazioni della persona nel modo di agire e di sentire. La malattia, in altre parole, non è mai localizzata solo ad una funzione o ad un apparato, ma colpisce l’organismo sempre nella sua interezza.

Tuttavia l’approccio unicista va oltre il semplice rispetto della complessità organica dell’essere umano, per arrivare a cogliere, di ogni individuo, quelle caratteristiche distintive che permettono di personalizzarne la cura, e di agire così alla radice dei suoi disturbi, amplificando le naturali difese organiche verso di essi. L’approccio unicista alle patologie, dunque, possiede due pregi che la distinguono nettamente da quello allopatico: da un lato permette di rispettare pienamente l’essere e la sua naturale interezza, dall’altro ha modo di indirizzare la terapia in modo mirato, e al tempo stesso causale, potendo così ricondurre l’organismo ad una guarigione del tutto naturale, che sia espressione, cioè, di un migliorato stato esistenziale di tutta la persona.

Gli altri approcci precedentemente menzionati, invece, si discostano da questo modo di affrontare disturbi e malattie perché, nel caso del pluralismo, continuano a considerare i diversi sintomi non come l’espressione della perturbazione complessiva dell’organismo sotto l’azione di stimoli patogeni, ma bensì localizzazioni differenti di differenti quadri di malattia, che così fanno perdere di vista la persona, la sua interezza, e soprattutto la sua relazione dinamica con il circostante; d’altronde il complessismo, come già accennato, non risulta in grado di tener conto proprio di quelle peculiarità distintive che permettono di applicare la legge di similitudine in modo fine e mai grossolano, come si fa, invece, quando essa è diretta alla sola malattia, e non tiene conto della reattività globale e individuale di un organismo comunque già impegnato a debellarla spontaneamente; l’integrazione dei due sistemi, infine, quello omeopatico e quello allopatico, finisce per contrastare l’azione di stimolo sui processi vitali indotta dall’omeopatia, dato che i rimedi di sintesi spesso inibiscono proprio quelle reazioni vitali, che hanno lo scopo di circoscrivere e limitare ogni singola patologia e che, quando non pervengono rapidamente a risoluzione, giungono semmai ad uno stato di equilibrio tra aggressione e difesa, che il rimedio omeopatico, se sapientemente scelto, sposterà decisamente a favore di quest’ultima.

La complessità dell’atto medico, pertanto, è tale che, in ogni stato patologico, esso deve essere il frutto della capacità di saper utilizzare distintamente, e al meglio, i due principali sistemi di cura, per intenderci quello allopatico, diretto a bloccare, o limitare, una determinata sintomatologia quando eccessiva o soverchiante le difese organiche, e quello omeopatico e, in particolare, unicista, volto a rinforzare individualmente le difese di un organismo già proteso, nel suo complesso, alla guarigione.

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